Cemento amato. Territorio e megaprogetti in Veneto

L'area dove sorgerà Veneto City (a nord, la ferrovia Milano-Venezia, a sud l'autostrada A4)«Saremo nude proprietà tra servitù di passaggio» è il sottotitolo di un monologo teatrale intitolato "Bisogna" che Marco Paolini ha recitato l’11 settembre nelle campagne nei dintorni di Dolo (Venezia). In questa inchiesta non rifletteremo di passaggi, spostamenti e infrastrutture (in una fase estremamente liquida, dove la ricerca di 13 miliardi necessari per le opere programmate nei prossimi tre anni lascerà al palo alcuni interventi a favore di altri), ma delle nude proprietà.

Il caso Veneto City
Paolini ha recitato nelle campagne dove dovrebbe sorgere Veneto City, un megainsediamento che pare il metro attorno a cui tutto si misura, nell’attuale fase di urbanizzazione della campagna veneta. L’intervento ora in discussione risulta straordinariamente rilevante nell’amalgama complessa e stratificata del nodo regionale fra Padova e Venezia: non sono solo le dimensioni, ma anche il contesto nel quale il progetto si cala, a sollevare molte perplessità. Veneto City prevede di condensare lungo la linea ferroviaria Milano-Venezia e l’autostrada A4, nei dintorni di Dolo e Arino (due cittadine a circa quindici km da Mestre), volumetrie produttive, di servizi e ricettive (non è previsto residenziale), negli intenti a uso sia pubblico sia privato, dove si ipotizzano tra le 30 e le 40.000 presenze giornaliere, tra operatori (tra 10 e 20.000) e fruitori. A differenza degli altri casi presentati in queste pagine, il concept dei promotori prevede non una semplice lottizzazione industriale (peraltro già esistente su parte dell’area, e già prevista dal Prg per altre parti), ma la costruzione di un’immagine urbana coerente che passa attraverso la nuova edificazione e la riconversione delle volumetrie presenti (l’ipotesi è che nel tempo la destinazione produttiva passi dall’industriale al terziario avanzato e oltre: in questo senso, già immaginando la presenza di quei settori dell’economia che si basano sul consumo culturale, sottolineato dalla candidatura di Venezia e del Nord Est a Capitale europea della cultura 2019) che verranno inglobate negli ambiti residenziali esistenti, con l’obiettivo di definire un disegno unitario. Un intervento urbanistico della durata più che decennale: se fosse gestito dallo Stato si chiamerebbe «città nuova»; in mano ai privati assume contorni più sfumati, dato che comunque non basterà il loro solo intervento a sostenere tutta l’operazione. Infatti, secondo i promotori, a Veneto City, servita dal casello autostradale di Dolo sulla A4 e due stazioni ferroviarie, di cui una costruita ad hoc, s’insedieranno anche una sede universitaria, attività istituzionali, musei: nulla di ufficiale dato che, pur essendo stato indicato, a differenza degli altri grandi interventi previsti, di rilevanza strategica all’interno del Piano territoriale regionale di coordinamento (Ptrc) licenziato dall’ex governatore Giancarlo Galan (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 73, maggio 2009), ora tutto è fermo. Ragioni economiche (cfr. S. Canetta, E. Milanesi, Legaland. Miti e realtà del Nord Est, Roma, 2010) e ambientali: l’economia incespica, e non è detto che anche questa volta il volano edilizio la faccia ripartire; la sensibilità ambientale raddoppia le cautele.

Megaprogetti e territorio
Per l’intero territorio, la Regione prende tempo. Sotto la guida di Luca Zaia, è in corso un esame approfondito di ogni proposta d’intervento non residenziale: motivabili singolarmente, è la loro azione combinata che potrà generare effetti imprevedibili. È dunque necessaria una ponderata discussione collettiva che inquadri questo e gli altri temi progettuali rilevanti almeno a livello regionale: di qui la scelta di considerare come emblematici, insieme a Veneto City, gli interventi previsti o in corso per Tessera City, Città della Moda, Motorcity, Magna Park, Eastgate Park e per la nuova zona industriale di Villamarzana (vedi box), che interessano una superficie totale di circa 10 kmq. Per fortuna Euroworld, l’Europa in miniatura estesa su 124 kmq nel Delta del Po, con annesse infrastrutture alberghiere per una stima di 30.000 visitatori giornalieri, dopo aver fatto capolino sui giornali nel 2008, sembra invece azzerata; paradossalmente, l’unico elemento a essere under construction è il suo sito web. A questi si possono aggiungere, come «franchi tiratori», proposte in cui il peso del nome (il Palais Lumière di Pierre Cardin, un improbabile palazzo-torre alto circa 300 metri che i promotori stessi propongono indifferentemente in taglie e siti diversi, dalla parigina Ile Seguin a Veneto City), o la disarmante banalità del segno (la Colonna Desman, anche qui una torre di 300 metri, ideata per un punto non precisato nell’area del graticolato romano), sembrano ragioni inconfutabili per legittimare il progetto.

Bulimia immobiliare
Lo sviluppo della regione negli ultimi 40 anni ha avuto il carattere di un torrente impetuoso che, in nome del progresso economico e dei particolarismi personali, non ha saputo elaborare riflessioni profonde. Nei 581 comuni veneti esistono circa 1.500 zone industriali: dimostrazione di come la scarsa attenzione nei confronti del territorio, visto come insieme disarticolato di municipalità, e un accentuato campanilismo, ha portato alla polverizzazione dei siti produttivi e degli abitati. Il bulimico appetito immobiliare, indotto da forti ritorni economici, ha generato una sovradotazione di capannoni ed edilizia residenziale, generalmente di bassa qualità. Per i primi, in attesa di veri processi di demolizione e ricostruzione, si stanno già registrando recuperi a fini culturali (spiccano i casi di Castelfranco, con Antiruggine, e Vicenza, con MonoTono), mentre per le seconde il futuro è incerto: secondo le stime, sono più che sufficienti a coprire la domanda fino al 2022. «In Veneto dal 2001 al 2006 sono state realizzate case per 788.000 persone (ma i nuovi abitanti sono soltanto 248.000)» (cfr. F. Sansa, A. Garibaldi, A. Massari, M. Preve, G. Salvaggiulo, La Colata, Milano 2010, p. 273). Sempre Galan, nel 2008, paragonava l’area centrale della regione (province di Venezia, Padova, Vicenza, Treviso) alla contea di Los Angeles (condivide una superficie simile, circa 10.000 kmq, ma conta poco meno della metà di abitanti, circa 4 milioni); altri, come l’Ocse, limitano il core regionale a tre province (vedi articolo a fianco). Si tratta di un’area la cui dotazione infrastrutturale è assai squilibrata e in cui il ruolo del trasporto pubblico incide scarsamente con linee su gomma e ferro spesso sovrapposte e male utilizzate, mentre il progettato Servizio ferroviario metropolitano regionale (Sfmr) attende la partenza nonostante i lavori siano iniziati da circa 10 anni.

Sviluppo vs responsabilità
La revisione della pianificazione regionale iniziata con la Carta di Asiago del 2004 tenta di porsi dalla parte dell’ambiente, indirizzandosi verso un nuovo Ptrc che, nell’ambito di un disegno generale diretto a un «miglioramento di qualità della vita», desidera liberarsi dai vincoli (fatti salvi quelli paesaggistici), offrendo l’opportunità agli abitanti di raggiungere obiettivi di comune interesse. Ciò significa, come ricorda Marino Zorzato nell’intervista a fianco, fare in modo che la responsabilità delle scelte venga presa direttamente a livello amministrativo locale.
Ai margini del convegno sulla biodiversità dello scorso 13 settembre a Padova, lo stesso Zorzato ha parlato dell’importanza dei momenti di studio e delle occasioni di trasferimento culturale dagli ambiti accademici a quelli decisionali e di lì a cascata verso gli altri livelli. Si sta lavorando per delegare i poteri verso le istituzioni periferiche, conservando alla Regione la funzione d’indirizzo generale, confidando nella comune responsabilizzazione e ogni componente della collettività. Resta da vedere se, nella pratica, tutti faranno la loro parte, nel reale rispetto per il nostro territorio; superando lo spiccato individualismo veneto e applicando lo spirito comunitario che contraddistingue, ad esempio, il volontariato sociale.


di Julian W. Adda, Gabriele Toneguzzi, da Il Giornale dell'Architettura numero 88, ottobre 2010

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