I cementifici della bassa padovana, l’impatto economico ed ambientale nei Colli Euganei

Pubblichiamo il pregevole dossier curato da Francesco Miazzi sui cementifici della bassa padovana. Un argomento che con la proposta di "revamping" avanzata da Italcementi di Monselice (PD) ha riempito le pagine di cronaca e sta tenendo aperto il confronto in tutto il territorio.

 

La chiusura delle cave nei Colli Euganei. Scampoli di storia per interpretare l’attualità.

Nei Colli Euganei sono presenti tre cementerie, una ad Este e 2 a Monselice. Si sono insediate qui negli anni '50, arrivando a produrre il 60% del cemento del Veneto. Per alimentare questa produzione, dal 1954 al 1968 il materiale estratto annualmente salì dal milione di tonnellate a cinque milioni. Nei fatti era in atto la distruzione totale di un territorio, attuata con mezzi sempre più potenti, impiegati nelle 70 cave attive. Per far fronte a questa situazione, alla fine del 1968, il Consorzio per la Valorizzazione dei Colli Euganei elaborò una prima proposta di "Parco", che prevedeva anche una regolamentazione esplicita dell’attività estrattiva. Nel frattempo l’opinione pubblica di fronte alla distruzione in atto, cominciò a reagire. Alla fine degli anni Sessanta il problema dei Colli Euganei, grazie alla stampa, diventò un vero e proprio caso nazionale. Su proposta dei parlamentari Giuseppe Romanato e Carlo Fracanzani, il 29/11/1971 venne approvata la legge n°1097. L’iter per l’approvazione di questo dispositivo, che poneva fine all’escavazione nei Colli Euganei, fu accompagnato da imponenti manifestazioni dei cavatori e delle maestranze, che dipingevano scenari apocalittici per l’economia e l’occupazione. In realtà la fine di quest’attività devastatrice, diede spazio e respiro ad una nuova economia basata sul rilancio delle terme, sul turismo e la valorizzazione della produzione locale. Nel 1989 i Colli Euganei sono stati riconosciuti come Parco Regionale ed il conseguente Piano Ambientale, ha confermato la definitiva chiusura di tutte le cave, anche di quelle in coltivazione per alimentare i cementifici, a loro volta definiti “incompatibili” con le finalità del Parco.

DI COSA SI NUTRONO I CEMENTIFICI

Già nel 1970 le 3 cementerie producevano insieme circa 2.000.000 t/anno di cemento, prelevando materiali da una decina di cave dei Colli Euganei. Le ristrutturazioni successive hanno ridotto a 5 il numero dei forni, di cui 3 nello stabilimento Italcementi e uno ciascuno a Cermentizillo e Cementeria di Monselice, con una produzione rimasta sostanzialmente inalterata. Parallelamente alla dismissione delle cave dei Colli Euganei, il prelievo della Marna si è spostato nei Colli Berici in particolare nella zona dei Comuni di Orgiano e Alonte (VI).
Dalla metà degli anni ’90 hanno fatto il loro ingresso nella produzione del cemento, vari tipi di rifiuto utilizzati come sostitutivo alle materie prime: la sola Italcementi dichiara di aver utilizzato nel 2007 oltre 140.000 t/anno di rifiuti costituiti da “Sabbie e terre di Fonderia”, “ceneri di combustione da biomasse”, “fanghi di marmo e granito”, “scorie di fonderia”, ecc… Va precisato che però le autorizzazioni concesse dalla Provincia di Padova alle 3 cementerie, fanno salire a 420.000 t/anno i rifiuti utilizzabile in questo modo. Questi aspetti hanno prodotto un forte aumento del traffico veicolare. Ad esempio per la sola Italcementi, l’azienda stima il transito di 650 camion al giorno, di cui 300 provenienti dalla Cava di Orgiano, 80 per le altre materie prime e i rifiuti, 220 in uscita con i prodotti finiti.

COSA VUOL DIRE CONVIVERE CON I CEMENTIFICI

Nell’area del Parco regionale dei Colli Euganei, in un raggio di 5 Km, si trovano quindi 3 attività industriali classificate come insalubri di 1° classe (n. 33 B, D.M. 05.09.1994), che attualmente impiegano circa 400 addetti più qualche centinaio nell’indotto.
Questi impianti sono responsabili di emissioni straordinariamente importanti di Ossidi d’Azoto, Ossidi di Zolfo e Polveri, più altri inquinanti molto pericolosi presenti ma non rilevati (in base all’attuale normativa). Nei mesi invernali numerosi sono i superamenti rilevati dei valori limite per l’inquinamento da polveri (PM<10 e PM<2,5), mentre nei mesi estivi, oltre l’inquinamento sopraccitato, nei comuni del Parco assume forte rilevanza l’Ozono con numerosi superamenti della soglia d’informazione e della soglia di protezione della salute.

Dai dati forniti da Arpav: «Un cementificio produce tanto Pm10 quanto 300.000 auto e gli stessi ossidi d’azoto di 180.000 veicoli che in un anno fanno 10.000 chilometri”. Non deve quindi stupire se nel 2008 ad Este e a Monselice si sono registrati oltre 70 superamenti del valore limite medio giornaliero. Ricordiamo che per il Pm10 il numero di superamenti ammesso per legge è di 35 volte anno. Guardando i dati ricavati dal registro INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti), frutto delle autodichiarazioni delle aziende, verifichiamo che nel 2005 solo i due impianti di Monselice hanno emesso circa: 3.000 kg di benzene, 15 Kg di mercurio, 30 t d’ammoniaca, 290 t d’anidride solforosa, 2.200 t d’ossidi di azoto, 120 t di PM10, 1.800.000 t d’anidride carbonica. Questi dati rappresentano solo una parte dell'inquinamento prodotto, dato che non sono riportati altri inquinanti (Metalli pesanti, policiclici aromatici, diossine ecc.) sulla cui pericolosità nessuno può nutrire ancora dubbi.
La presenza di 3 cementifici in pochi Km quadrati ha portato questa zona ad essere inserita nelle 4 aree più inquinanti e inquinate del Veneto, insieme a Porto Marghera, Porto Tolle e Val del Chiampo. Per tale motivo il Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera individua nei Comuni di Este e Monselice un’area che necessita d’interventi di tutela ambientale data l’elevata densità di cementifici presenti, l’intenso traffico di automezzi pesanti determinato dalla presenza degli stessi e dalle importanti e trafficate arterie stradali.

IL REVAMPING DI ITALCEMENTI

Il 17/03/2010 l’azienda Italcementi S.p.A. Cementeria di Monselice, ha presentato alla Provincia di Padova la domanda di VIA e d’Autorizzazione Integrata Ambientale, per un progetto di “Adeguamento tecnologico alle migliori tecniche disponibili” degli impianti della cementeria Italcementi di Monselice – denominato “Revamping”. L’azienda propone di sostituire i 3 vecchi forni con un “nuovo forno di cottura tecnologicamente all’avanguardia”, una nuova torre di “preriscaldo” alta 122 m s.l.m., prevedendo un notevole abbattimento delle emissioni in atmosfera, una riduzione nel consumo di risorse e una garanzia occupazionale.
Il costo totale per la realizzazione dell’intervento è di 160 milioni, un investimento per il quale i Dirigenti di Italcementi dichiarano, senza dimostrare come, di poter rientrare in 10 anni, escludendo per il nuovo impianto l’utilizzo del CDR (combustibile derivato da rifiuti) a meno che non sia richiesto dalle autorità competenti.
A supporto di questo progetto, sul quale un ruolo importante ha svolto il Sindaco di Monselice (dichiaratosi pubblicamente favorevole all’uso del CDR), si sono impegnati i Sindacati, gli autotrasportatori ed una parte del mondo politico, ancora una volta, dipingendo, come nel 1971, scenari apocalittici per l’occupazione e l’economia del territorio.

Contro questa ristrutturazione, si sono prontamente mobilitati i Comitati e le associazioni per la difesa della salute e dell’ambiente, affiancati da un inaspettato fronte trasversale composto di 27 amministrazioni del territorio a cui si è aggiunto il Consiglio Comunale di Monselice, che dopo un acceso confronto ha votato un documento contrapposto a quello presentato dal Sindaco.
Anche la società civile si è mobilitata, alcune associazioni di categoria e i Consigli Pastorali delle Parrocchie hanno preso una netta posizione, decine di cittadini hanno inviato le loro rimostranze agli amministratori e alla stampa, a fine Maggio un migliaio di persone ha percorso in corteo le strade di Monselice. Un confronto dai toni aspri, che ha prodotto spaccature nei partiti, nelle associazioni, nella rete comunitaria del territorio.

I motivi dell’opposizione sono svariati e s’intrecciano con paure e diffidenze alimentate da 50 anni d’inquinamento. Innanzitutto è palese il conflitto con l’art. 19, comma 1, lettera “c” delle NTA del Piano Ambientale del Parco Colli Euganei, che definisce incompatibili con il Parco “gli impianti produttivi ad alto impatto ambientale, quali le cementerie”. Sempre l’articolo n. 19, comma 3, del Piano Ambientale recita testualmente “Per quanto concerne le cementerie esistenti […] gli interventi eccedenti la manutenzione e l’adeguamento degli impianti e delle strutture e le ristrutturazioni interne, sono subordinati alla stipula di apposite convenzioni, con la partecipazione dell’Ente Parco e dei Comuni interessati, che definiscano in particolare:
-a) le modalità e i tempi di prosecuzione dell’attività, con particolare riguardo per il traffico indotto;
-b) le modalità e i tempi delle eventuali dismissioni, nonché delle condizioni di riuso dei sedimi e dei fabbricati, da verificare nell’ambito degli strumenti urbanistici locali, secondo le indicazioni del P.A.
-c) i programmi di investimento, di riassorbimento occupazionale e di eventuale rilocalizzazione in aree esterne”.

Al di la delle garanzie verbali, i rifiuti d’ogni genere sono per questi impianti parte integrante del processo produttivo ed il rischio di vederli utilizzati come combustibile, rappresenta una pericolosissima spada di Damocle da evitare. L’impatto ambientale potrebbe incidere in modo irreversibile sul valore del territorio e sulla salute di lavoratori e residenti in una vasta area, in quanto i rifiuti nella combustione possono liberare, come dimostrato nel 2005, sostanze nocive, tossiche, cancerogene, teratogene e mutagene. Ciò sarà ancora più pericoloso nei cementifici in quanto questi impianti non sono soggetti, pur smaltendo e/o bruciando rifiuti come gli inceneritori, ai controlli e ai limiti d’emissione degli inceneritori di rifiuti.
Preoccupa molto anche l'utilizzo come combustibile, di 100.000 t/anno di Pet-coke, uno scarto tossico e nocivo, divenuto un vero e proprio combustibile solo grazie al D.L. 22 del 2002, poi convertito dalla Legge 82 del 6/5/2002. La sua composizione, comprendente oltre ad IPA (in particolare benzopirene), ossidi di zolfo e metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio, richiede che sia movimentato con cura per evitare di sollevare polveri, che inalate, possono provocare gravi rischi per la salute. Ricordiamo che l'uso del Pet-coke nella raffineria di Gela, ha suggerito alcune indagini epidemiologiche, poiché si è registrata una possibile correlazione con le malformazioni e l’alto tasso di tumori tra la popolazione locale.
Questa nuova ciminiera, con i suoi 80, 100 o 120 metri, produrrebbe, tra l’altro, un impatto visivo difficilmente mitigabile, marchiando il territorio con un biglietto da visita che allontanerà residenti, turisti ed investitori, con pesanti ricadute sull’intera economia del territorio.
La crisi economica ha fatto sentire i propri effetti sul volume di produzione di cemento in Italia. Dopo il calo del -9,8% nel 2008, il 2009 ha fatto registrare un arretramento del 15,6%, con un volume di produzione pari a 36,3 milioni di tonnellate. Nel Veneto dove sono presenti 6 cementifici, la riduzione è ancora più significativa, -16,4%, ed ha portato la produzione dai 4.625.000 di t del 2008 ai 3.868.000 di t del 2009. Il dato non deve stupire, visto che nel Veneto in questi anni si è cementificato senza paragoni. Le statistiche nei consumi di cemento evidenziano quest’incredibile discrepanza: in Germania e Francia i consumi di cemento sono di circa 400 Kg/abitante e a fronte di una media nazionale italiana vicina agli 800 Kg/abitante, nel Veneto si superano i 1.100 Kg/abitante. E’ quindi evidente che questo territorio non è più in grado di sostenere un tasso così elevato di cementificazione e la richiesta di cemento è destinata a ridursi ulteriormente, visto che si stanno espandendo le applicazioni dei materiali naturali e la bio-edilizia. Sostenere investimenti nella produzione del cemento rappresenta quindi una scelta miope oppure un palese tentativo di occultamento di altri obiettivi, quale potrebbe essere il business dei rifiuti.
Ora il progetto del “revamping” proposto da Italcementi, ha un destino legato a diversi fattori, tra i quali il rinnovo dell’escavazione per altri 25 anni nella Cava di Orgiano, sui Colli Berici. Anche in quel territorio il dibattito è altissimo, per la forte opposizione dei residenti, stanchi della devastazione prodotta in questi anni e consapevoli che un sì alla nuova escavazione, potrebbe alimentare la proposta di costruire il nuovo cementificio dove c’è la materia prima, eliminando il consistente traffico dei mezzi pesanti.
In questi giorni la Provincia di Padova acquisirà nuova documentazione da parte di Italcementi e sentita la Commissione VIA, dovrà esprimere un parere definitivo. Ma la storia non finirà così facilmente, qualsiasi sia la scelta della Provincia, e allora diventa indispensabile come sollecitato dal Consiglio Comunale di Monselice, con il Sindaco in minoranza: “l’istituzione urgente di tavolo di lavoro con Regione, Provincia di Padova, Comuni del Parco Colli e confinanti con Monselice e Este, OO.SS., Associazioni di categoria, Associazioni ambientaliste, Arpav, per definire nello spirito dei principi contenuti nel Piano Ambientale, in un arco temporale ristretto, modalità e tempi della riconversione del sito dell’area Italcementi, in modo da avviare una lungimirante politica occupazionale per la Bassa Padovana”.

Francesco Miazzi
 

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