Flussi poco scorrevoli

Chi si ricorda cosa stava facendo il 14 marzo 2006? Io rientravo a casa, e passando davanti alle Poste ricordo di aver notato un folto gruppo di immigrati in paziente attesa dell’apertura degli sportelli.

A più di un anno di distanza, la memoria di quel pomeriggio non è affatto  sbiadita per quegli immigrati: ore di speranza, che continuano a restare tali. File di clandestini, che dopo essere riusciti a strappare un contratto di soggiorno al datore di lavoro, magari con l’usuale promessa di pagare di tasca propria i contributi per la messa in regola, continuano a vivere nell’ombra, costretti da una burocrazia infinita.

Consulenti del lavoro dubbiosi tempestano di telefonate gli uffici immigrazione: dopo un anno di attesa, i rapporti di lavoro di cui si erano gettate le basi allora si sono già conclusi, e non si sa cosa fare di questi lavoratori “a metà”. Possono instaurare un altro rapporto di lavoro? E la pratica aperta con il datore di lavoro precedente che fine fa?

Risponde deciso il sito del Ministero della Solidarietà Sociale: l’immigrato in attesa di un permesso cartaceo, che ha già sbrigato e concluso regolarmente tutte le pratiche per ottenerlo, non può pagare per la lentezza esasperante della macchina burocratica italiana.

Cosa che in realtà avviene, eccome: lasciando da parte il caso del tutto particolare dei lavoratori in attesa del primo permesso per lavoro, basta un semplice rinnovo per trovarsi bloccati in mesi di limbo, estenuante attesa che impedisce di programmare, per dirne una, il tanto desiderato rientro estivo.

Il tutto grazie allo spostamento delle procedure, già lente di per sè, agli uffici postali, privi di competenza in materia per poter valutare le pratiche, ma sufficientemente ricchi di esperienza per allungarle. Il permesso a pagamento, che avrebbe dovuto velocizzare il tutto, sta intasando il sistema, costringendo le pratiche a un tortuoso giro tra poste, questure e ancora poste.

A farne le spese, ancora una volta, lavoratori – desiderosi di riempire le tasche dei nostri pasciuti governanti con i contributi del loro lavoro, spremuti fino all’osso, e ripagati con la consueta inefficienza.

Elisa Gamba

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